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ARTE POVERA
APPUNTI PER UNA GUERRIGLIA
Prima viene l'uomo poi il
sistema, anticamente era così. Oggi è la società
a produrre e l'uomo a consumare. Ognuno può criticare,
violentare, demistificare e proporre riforme, deve rimanere però
nel sistema, non gli è permesso di essere libero. Creato
un oggetto vi si accompagna. Il sistema ordina così. L'aspettativa
non può essere frustrata, acquisita una parte, l'uomo,
sino alla morte, deve continuare a recitare. Ogni suo gesto deve
essere assolutamente coerente col suo atteggiamento passato e
deve anticipare il futuro. Uscire dal sistema vuoi dire rivoluzione.
Così l'artista, novello giullare, soddisfa i consumi raffinati,
produce oggetti per i palati colti. Avuta un' idea vive per e
su essa. La produzione in serie lo costringe a produrre un unico
oggetto che soddisfi, sino all'assuefazione, il mercato. Non
gli è permesso creare ed abbandonare l'oggetto al suo
cammino, deve seguirlo, giustificarlo, immetterlo nei canali,
I'artista si sostituisce così alla catena di montaggio.
Da stimolo propulsore, da tecnico e specialista della scoperta
diventa ingranaggio del meccanismo. II suo atteggiamento è
condizionato ad offrire solo una "correptio" del mondo,
a perfezionare la struttura sociale, mai a modificarla e a rivoluzionarla.
Pur rifiutando il mondo dei consumi, si trova ad essere un produttore.
La libertà è una vuota parola. L'artista si lega
alla storia, o meglio al programma, ed esce dal presente. Non
si progetta mai, ma si integra. Per "inventare" è
costretto ad agire da cleptomane e ad attingere agli altri sistemi
linguistici. Ma cosa faceva Duchamp? Certamente non era teso
a soddisfare il sistema. Per lui esserci e vivere, significava,
e significa, giocare a scacchi (la mossa del cavallo non è
mai rettilinea) e scegliere, mai lasciarsi scegliere. Più
volte cercato il sistema, non si e mai fatto trovare dove si
pensava di reperirlo.
Così in un contesto dominato dalle invenzioni e dalle
imitazioni tecnologiche due sono le scelte o l'assunzione (la
cleptomania) del sistema, dei linguaggi codificati ed artificiali,
nel comodo dialogo con le strutture esistenti, siano esse sociali
o private, l'accettazione e la pseudoanalisi ideologica, l'osmosi
con ogni "rivoluzione", apparente e subito integrata,
la sistematizzazione della propria produzione o nel microcosmo
astratto (op) o nel macrocosmo socio-culturale (pop) e formale
(strutture primarie), oppure, all'opposto, il libero progettarsi
dell'uomo.
Là un'arte complessa, qui un'arte povera, impegnata con
la contingenza, con I'evento, con l'astorico, col presente, ("non
siamo mai completamente contemporanei nel nostro presente"
- Debray) con la concezione antropologica, con I'uomo "reale"
(Marx), la speranza, diventata sicurezza, di gettare alle ortiche
ogni discorso visulmente univoco e coerente (la coerenza è
un dogma che bisogna infrangere), la univocità appartiene
all'individuo e non alla "sua" immagine e ai suoi prodotti.
Un nuovo atteggiamento per npossedere un "reale dominio
del nostro esserci, che conduce l'artista a continui spostamenti
dal suo luogo deputato, dal cliché che la società
gli ha stampato sul polso.
L'artista da sfruttato diventa guerrigliero, vuole scegliere
il luogo del combattimento, possedere i vantaggi della mobilità,
sorprendere e colpire, non l'opposto.
Da un lato, quindi, un atteggiamento ricco, perché legato
osmoticamente alle altissime possibilità strumentali ed
informazionali che il sistema offre, un atteggiamento che imita
e media il reale, che crea la dicotomia tra arte e vita, comportamento
pubblico e vita privata, dall'altro una ricerca "povera",
tesa all'identificazione azione-uomo, comportamento uomo, che
elimina cosi i due piani di esistenza. Un esserci, quest'ultimo,
che predilige l'essenzialità informazionale, che non dialoga
nè col sistema sociale, nè con quello culturale,
che aspira a presentarsi improvviso, inatteso rispetto le aspettative
convenzionali, un vivere asistematico, in un mondo in cui il
sistema è tutto. Un atteggiamento (che evidentemente non
vuoi contrapporsi ad alcuna ricerca particolare, risultando non
una corrente, ma un modo di comportarsi, che evita persino la
concorrenza, proprio per non cadere nuovamente nell' integrazione
alle leggi del sistema e nel dialogo con lo stesso teso al reperimento
del significato fattuale del senso emergente del vivere dell'uomo.
Un'identificazione uomo-natura, che non ha più il fine
teologico del narrator-narratum medioevale, ma un intento pragmatico,
di liberazione e di non aggiunzione di oggetti e idee al mondo,
quale oggi si presenta. Di qui l'abolizione di ogni posizione
categoriale (o pop od op o struttura primaria) per una focalizzazione
di gesti che non aggiungono nulla alla nostra colta percezione,
che non si contrappongono come arte rispetto alla vita, che non
portano alla frattura e alla creazione del doppio piano io e
mondo, ma che vivono come gesti sociali a sè stanti, quali
liberazioni formative e compositive, antisistematiche, tese all'
identificazione uomo-mondo.
L' avvicendamento da compiersi è dunque quello del ritorno
alla progettazione limitata ed ancillare, in cui I uomo è
il fulcro e il fuoco della ricerca, non più il mezzo e
lo strumento. Luomo è il messaggio, per parafrasare Mac
Luhan. Nelle arti visuali la libertà è un germe
che contamina ogni produzione. L'artista rifiuta ogni etichetta
e si identifica solo con se stesso.
Così Pistoletto (come Warhol, Mari e Grotowsky) si è
posto sin dal 1964, il problema della libertà del linguaggio
non più legato al sistema, alla coerenza visiva, ma alla
coerenza "inferiore", ed ha realizzato nel 1966 opere
estremamente "povere", un presepe, un pozzo di cartone
con tele spaccate al centro, una bacheca per vestiti, una struttura
per parlare in piedi e una struttura per parlare seduti, un tavolo
fatto di cornici e di quadri, una foto gigante di Jasper Johns.
una lampada a luce di mercurio. Un lavoro teso alla registrazione
"dell' irripetibilità di ogni istante" (Pistoletto),
che presuppone il rifiuto di ogni sistema e di ogni aspettativa
codificata. Un libero agire, invincolato ed imprevedibile (nel
1967 una sarcofago, una casa dipinta con estrema libertà
cromatica, una sfera di carta di giornali pressata, un corpo
ricoperto di mica), un frustrare I'aspettativa, che permette
a Pistoletto di rimanere sempre al confine tra arte e vita.
Un esistere rivoluzionano che si fa Terrore con Boetti, Zorio,
Fabro, Anselmo, Piacentino, Gilardi, Prini, Merz, Kounellis,
Paolini e Pascali, artisti che già nel loro agire si sono
posti questo recupero del libero progettarsi.
Così Paolini esalta il carattere empirico e non speculativo
del suo lavoro, sottolinea il dato di fatto, la presenza fisica
dell'oggetto e il comportamento del soggetto in rapporto al sistema
"pittura". La sua sovrapposizione tra idea e immagine,
lo porta alla "prise de pouvoir " degli elementi strumentali,
non ancora direzionati e sistematicizzati, quali la tela, il
colore, lo spazio (diventato ora lo spazio del mondo) Le componenti
linguistiche ritornano cosi in campo quali paradigmi, primigeni,
aniconici liberi da ogni sistema di collocazione iconologica.
Elementi di un farsi, che non si vincolano all' immagine da realizzare,
ma si presentano per "fingere" se stessi.
II sensismo comportamentistico sale sull'altare con Pascali e
Kounellis. La realizzazione immediata di una sensazione conduce
in pochi anni Pascali a passare dai busti di donna, ai muri,
ai cannoni, agli animali mitici, alla barca al mare alle pozzanghere,
ai cubi di terra al campo arato. II suo libero atteggiamento
si evidenzia, perchè vincolarsi ad un solo prodotto ?
Ogni elemento è infatti sineddoche naturale del suo vivere
e del suo esistere percettivo e plastico, perche diventare paradigma
? Cosi Kounellis, colpito dalla ricchezza del suo esserci, recupera
il suo gesto artistico col dare il becchime agli uccelli, con
lo staccare le rose dal quadro, ama circondarsi di elementi banali,
ma naturali quali il carbone, il cotone, un pappagallo. Tutto
si riduce ad un conoscere concreto che lotta con ogni riduzione
concettuale, l'importanza è focalizzare, per Kounellis,
che Kounellis vive, il mondo vada in malora.
Un'urgenza all' esserci che ha condotto Gilardi, soffocato dai
suoi tappeti-natura e dal poliuterano, a realizzare nel 1966
(mostra "arte abitabile", Sperone) degli oggetti che
sono la concretizzazione, non più mediata e mimetica,
del suo agire strumentale e funzionale, ed ecco il basto, la
carriola, la sega, la scala. Per chi conosce "l'operoso"
Gilardi, questi sono i suoi "simboli".
La tautologia è il primo strumento di possesso sul reale,
eliminando le sovrastrutture, si riinizia a conoscere il presente
e il mondo. Cosi Fabro concretizza in un anno due o tre atti
di possesso sul reale. La difficoltà di conoscere, come
possesso, è enorme, i condizionamenti non permettono di
vedere un pavimento, un angolo, uno spazio quotidiano e Fabro
ripropone la scoperta del pavimento, dell'angolo, dell'asse che
unisce soffitto e pavimento di una stanza, non si preoccupa di
soddisfare il sistema, vuole sviscerarlo.
Parimenti Boetti "reinventa le invenzioni" dell'uomo.
I suoi gesti non sono più un accumulo, un incastro di
segni, ma i segni dell'accumulo e dell'incastro. Si pongono come
apprendimento immediato di ogni archetipo gestico, di ogni invenzione
primitiva. Sono gesti univoci che portano con se "tutti
i possibili processi formativi ed organizzativi", liberati
da ogni contingenza storica e mondana. Dalle annotazioni gestiche
di Boetti alle annotazioni perimetrali e spaziali di Prini, il
passo è breve. Una stanza è e risuona di quattro
angoli, un uomo si blocca in un passo da un metro, il pavimento
diventa scalino, la sedia è un'immagine piatta sorretta
da una sedia, ogni gesto di Prini si conclude nel presentarsi.
Il dominio passa all'uomo dagli n sensi.
L'autonomia domina incontrastata in Piacentino. Le sue "monumentali"
composizioni si impongono, sono un'aperta sfida alle convenzioni
di spazio, di ambiente, impossibile organizzarle, collocarle,
piegarle al codice spaziale abituale, seppur cromaticamente possedibili,
al punto da lusingare la percezione colta dello spettatore, esse
sfuggono. Come la luce fugge, così il mondo. Per possederli
bisogna bloccarli nell'attimo in cui si incontrano. Così
Merz violenta gli oggetti e il reale con il neon. Il suo è
un inchiodare drammatico, che atterrisce. E' un continuo sacrificio
dell'oggetto banale e quotidiano quasi novello cristo (il culto
dell'oggetto è una nuova "religio") Trovato
il chiodo, Merz da buon filisteo del sistema, crocifigge il mondo.
Più sottilmente "povera" l'azione di Anselmo.
Qui la precarietà sì esalta. Gli oggetti vivono
nel momento di essere composti e montati, non esistono come oggetti
immutabili, si ricompongono di volta in volta, la loro esistenza
dipende dal nostro intervento e dal nostro comportamento. Non
sono prodotti autonomi, ma instabili, vivi in rapporto al nostro
vivere.
Infine le "entità espressive" di Zorio, enfantizzazioni
visuali di un avvenimento instabile. Così la violenza
dei tubi dalmine, dei colori, dei cementi, dialoga con la precarietà
del tempo, con la sottile instabilità del maglio, che
sta per cadere sulla "sedia", con il graduale cristallizzarsi
dell'acqua salata, con la incredibile resistenza dell'elemento
elastico rispetto alla struttura d acciaio. Un'imprevedibile
coesistenza tra forza e precarietà esistenziale che sconcerta,
pone in crisi ogni affermazione, per ricordarci che ogni "cosa"
è precaria, basta infrangere il punto di rottura ed essa
salterà. Perche non proviamo col mondo ?
Incontro, il 23 novembre, lcaro e Ceroli che mi confermano che
questo atteggiamento è ormai di molti artisti. Alviani,
Scheggi, Bonalumi, Colombo, Simonetti, Castellani, Bignardi,
Marotta, De Vecchi, Tacchi, Boriani, Mondino, Nespolo. Questo
testo nel suo farsi è già lacunoso. Siamo infatti
già alla guerriglia.
Germano
Celant
23-11-1967 |
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