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LA TRANSAVANGUARDIA
SI È RAFFREDDATA
colloquio con Achille Bonito Oliva
Mentre Londra e Venezia
tentano di rileggere e sistemare il Novecento italiano, già
si affacciano nel fronte della critica nuove proiezioni sui movimenti
e sugli artisti che ne domineranno l'ultimo decennio. Anzi Achille
Bonito Oliva, in un libro di prossima uscita, ha già coniato
la sua definizione, o meglio "superdefinizione": "Superarte",
così suona, infatti, il titolo del volume edito da Giancarlo
Politi. Ma nel tracciare i confini dell'ultimo movimento del
secolo, Bonito Oliva non esita a relegare l'Italia in un ruolo
di secondo, se non ultimo piano, designando come protagoniste
l'arte americana e quella sovietica.
E' proprio così
Bonito Oliva? La fine del secolo, anche artistica, si chiude
davvero all'insegna di Reagan e Gorbaciov? E che cos'è
la Superarte?
"In un certo senso, sì. La Superarte è l'ultimo
volto del movimento postmoderno, ma a differenza degli anni Ottanta,
il suo linguaggio non parla più attraverso la memoria
e il passato, si muove invece sul terreno del presente. Questi
artisti, gente come gli americani Haim Steinbach, Sherrie Levine,
o i sovietici Eric Bulatov o Ilya Kabakov, adesso non citano
la storia, hanno abbandonato il recupero della pittura e degli
stili. Preferiscono una nuova forma di "ready made ', che
trova la materia dell'opera nella produzione industriale, nei
segni tecnologici, nell'immagine computerizzata. E questo si
manifesta in maniera più evidente nella cultura pragmatica
americana, nella tradizione del realismo tedesco e nei paesi
dell'Est dove l'approdo al prodotto industriale sta a significare
lo smantellamento di tutta l'espressione artistica imposta da
un'ottusa burocrazia".
Allora, dopo la
Transavanguardia, all'Italia non resta che tacere?
"La Superarle non sancisce affatto la fine dalla Transavanguardia,
tutt'altro: ne è la logica prosecuzione. Dopo una fase
di Transavanguardia calda, siamo entrati in un nuovo momento
che definirei di Transavanguardia fredda. Il gioco è lo
stesso e si consuma all'interno del grande movimento postmoderno.
Ma gli artisti italiani non sono più i protagonisti tanto
che nel mio libro ne ho citato solo uno, Gianni Piacentino, che
da molti anni lavora in maniera del tutto personale e concettuale
sulla forma e sul design".
Insomma sempre di
Transavanguardia si tratta.
"Certamente. La Transavanguardia è stata la perfetta
espressione pittorica della cultura postmoderna e decretare la
fine del Postmoderno è una vera fesseria ampiamente smentita
dai fatti".
Quali fatti?
"Il successo dei libri di Umberto Eco, per esempio, che
sotto forma di scorribande culturali attraversano e citano tutta
la nostra cultura, dai suoi aspetti più popolari, come
i libri gialli, fino alle sfere alte e intoccabili come l'alchimia.
Sono dei veri capolavori della postmodernità. Ma questo
non lo dico solo io, bensì lo ha recentemente scritto
Anthony Burgess".
E nella postmodernità
l'arte che ruolo occupa?
"L'arte che per secoli ha avuto l'appalto dei modelli di
conoscenza, si è trovata nel corso del Novecento sempre
più privata di questa funzione. Ora poi la scienza le
ha rubato anche l'emozione, la palpitante scoperta, l'allargamento
della percezione. Le meraviglie dell'ingegneria genetica o l'ipotesi
che le dimensioni non siano più solamente quattro bensì
undici, costringono l'arte a cercare nuove funzioni e identità.
La Superarte è la risposta a tutto questo: la rinuncia
a un'idea di progresso, la consapevolezza che l'arte può
vivere solo nel presente giocando con un quotidiano entro cui
stare sempre più con piacere".
Anche la critica
subisce la stessa crisi?
"Direi di no. Anzi il critico che prima era solo un servo
di scena, oggi occupa un posto di primo piano nella creazione
artistica. E' un intellettuale totale che ha inventato una scrittura
espositiva e ha creato intorno alla sua figura un'autorità
sociale. D'altra parte Roberto Longhi diceva che critici si nasce
e artisti si diventa. Io aggiungerei che la Superarte altro non
è che il prodotto della Supercritica".
A.M. |
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